Cuori irrequieti in cerca di pace

di Andrea Polidoro - Cosa dire di fronte all’indicibile? Quali parole trovare per uscire dallo scoramento in cui ci ha inabissato questa terribile guerra? Le immagini ed i racconti che arrivano dall’Ucraina fanno tremendamente male. Le emozioni ci sommergono con la forza di uno tsunami che scuote nel profondo le nostre vite. Nella difficoltà di capire l’irragionevolezza di questa tragedia, non sappiamo dove aggrapparci per rimanere in piedi. La distruzione che lascia dietro di sé ogni guerra, arriva fino ai nostri cuori. Manda in frantumi la nostra fragile speranza in un mondo diverso, e mina quella naturale fiducia nel domani che è il motore della nostra vita. Cosa fare di fronte a tutto ciò? Cosa ne facciamo di questo dolore? Milioni di persone non hanno nemmeno avuto il tempo di porsi simili domande. Hanno dovuto solo pensare a mettersi in salvo, a proteggersi, a trovare il modo di scappare dall’orrore tutelando i più piccoli, i fragili. Dentro il precipitare fulmineo degli eventi si sono trovati di fronte ad un’unica scelta possibile: tentare di resistere al dramma di questa ingiustificata invasione. E ognuno ha trovato il suo modo, il suo posto, il suo ruolo per perseguire quest’unico grande obiettivo nazionale. Nel frattempo, migliaia di donne e di uomini si sono attivate in Ucraina, nei paesi limitrofi, in tutta Europa, per accogliere e consolare quel fiume di rifugiati che abbiamo visto lasciare la propria terra in lacrime. Una risposta incredibile, toccante, che mostra quanto l’umanità, anche nelle situazioni più drammatiche e annichilenti, sappia trovare i modi per preservare la vita delle persone. Un capitolo importante di questa tremenda storia, che dovremmo tenerci bene stretti. Per non lasciare che la guerra sia l’unica protagonista di questi giorni dolorosi. Noi dalle nostre confortevoli e calde case, assistiamo impotenti a questi drammi e sentiamo cascarci le braccia. Ma cosa ne facciamo della nostra indignazione? Se resta solo qualcosa di emotivo, e che quindi perderà presto effetto, perché ci abitueremo anche a questa guerra, avremo forse perso un’occasione. Avremo lasciato che la guerra facesse colpo anche su di noi. Con l’aggravante però che saremo tra coloro che invece non hanno fatto la loro parte. Alle vittime di questa guerra e di tutte le violenze che ci sono nel mondo, la nostra indignazione non basta. Se allora non riusciamo a chiudere gli occhi, a spegnere il cuore e a rassegnarci, dovremo porci una conseguente, scomoda, domanda: “quali possono essere le nostre risposte alla guerra?”. Abbiamo bisogno di ritrovare lucidità e riscoprire la forza dei nostri gesti. Possiamo scuoterci di dosso il torpore nel quale rischiamo di rimanere, per ritrovare la consapevolezza della nostra responsabilità. Se oggi ci troviamo di f ronte a questa situazione che lascerà inimmaginabili strascichi, è anche perché non abbiamo saputo vigilare. Non abbiamo fatto la nostra parte. La guerra, come ogni evento traumatico della vita, porta con sé in modo inesorabile sprazzi di verità celate troppo a lungo. Manifesta cioè delle rivelazioni dolorose che non avevamo saputo considerare. Lo shock della guerra crea delle rotture su quella patina invisibile di quietismo, stratificatosi nei giorni senza sussulti di “status quo”, e fa affiorare bagliori di luce sulla realtà capaci di aprirci gli occhi. La prima grande verità che mi pare affiorare, è che il nostro povero mondo ha urgentemente bisogno di pace. Ma non quella pace finta, che è assenza di conflitti nei cortili dei nostri paesi. Parlo di una visione, un sogno - se possiamo utilizzare ancora oggi questa parola maltrattata - che includa i popoli, la nostra madre Terra, la Vita. Verso dove stiamo andando? Quale futuro stiamo costruendo per i nostri figli? Quale mondo stiamo lasciando loro? Dobbiamo riconoscere che abbiamo perso ogni misura. Ci siamo armati in modo del tutto irrazionale ed oltre ogni ragionevole limite! Abbiamo lasciato che fosse l’economia ed il mercato a tessere i rapporti internazionali, invece che fondarli su presupposti e prospettive che avessero i colori della pace! Non abbiamo mai veramente sostenuto con tutte le nostre forze l’unica vera lotta che ha senso perseguire: quella che guarda al vero bene dell’umanità! 

Questa attuale guerra che rischia di farci sprofondare in un altro pericoloso e drammatico conflitto mondiale, deve essere un punto di non ritorno per fermarci e capire che abbiamo nuove priorità da definire. E invece stiamo continuando imperterriti e ciechi su strade che hanno già dichiarato il loro più grande fallimento: la corsa insensata agli armamenti, l’investimento sulle nuove tecnologie belliche, la costruzione di eserciti transnazionali. Vogliamo tutti la fine della guerra, ma non facciamo niente per costruire la pace. Il mondo deve ripartire da questa contraddizione irrisolta. E il colorato popolo della pace, deve continuare a far sentire la sua voce. Oggi, domani, ogni giorno, finché non ci sarà un’inversione di rotta decisa che vada in direzione di un progetto di umanità più rispettoso delle persone e del creato. Questo si deve tradurre in partecipazione politica, in mobilitazione di massa. E non possiamo darci pace fino a quando non sentiremo i nostri rappresentanti in Parlamento parlare un linguaggio diverso e non li vedremo prendere decisioni che vadano in direzione opposta alla scelta “obbligata” delle armi. Forse sottovalutiamo sempre la forza potenzialmente positiva che hanno i popoli. Ci siamo fatti fregare dalla convinzione che non contiamo niente, che non abbiamo potere su nulla, che la nostra voce non abbia peso e sia inascoltata. Siamo cascati nel tranello dei potenti che hanno fatto sì che il senso di comunità si perdesse a favore di una cultura marcata da uno sfrenato individualismo. Abbiamo l’urgenza di costruire una solida cultura di pace

Il lavoro della pace deve essere continuo, costante, una lotta nella quale non possiamo mai mollare, e nella quale dobbiamo aiutarci tutti a tener duro. Una paziente e tenace opera di costruzione fatta di piccole e grosse iniziative, che parta dal basso, che semini la cultura della pace nei più piccoli, nelle scuole, che spenga i focolai possibili di violenza e di sopraffazione. Uno sforzo massiccio che riguarda tutti, per risvegliare la consapevolezza che non c’è strada migliore per l’umanità. Una mobilitazione “che non si dà pace” e che arrivi ai palazzi, per far sentire quanto ci sta a cuore il benessere di tutti! Il nostro caro Gino Strada, che conosceva bene gli orrori dei conflitti armati, per averli guardati negli occhi e curati nelle ferite di tanti innocenti, e ciò per anni e anni, diceva: “la guerra non si abolisce coi trattati, ma stimolando la riflessione, la cultura di tutti”. Se la pace è solo l’impegno di un momento, abbiamo già perso. Il segreto gentile della pace è la sua non arrendevolezza. Ci incoraggia ad andare a dissotterrare la sua forza disarmante sotto le macerie che lascia ogni guerra. Cerca complici per una lotta che non si perda d’animo e creda che al di là di tutto, c’è sempre uno spiraglio per permettere alla pace di esistere ed abbracciare l’umanità ferita, scossa dalla violenza. La pace non è solo, non è tanto un’utopia di cui parlare nei momenti in cui scoraggiati assistiamo al triste spettacolo del mondo. È una strada concreta, possibile, realizzabile. Ce lo testimoniano le storie di tantissime persone che ci hanno creduto e che sono stati capaci di cambiare in molte situazioni il corso delle cose. La storia è disseminata di racconti di pace che hanno fermato la violenza. Atti, gesti, in cui i popoli sono riusciti a far prevalere le ragioni della pace e preservare l’umanità, la vita di tante donne, uomini, bambini. Lotte, iniziative, percorsi che senza far rumore, con la fermezza docile della pace, hanno ottenuto la fine di guerre civili, di sopraffazioni, di ingiustizie, di violenze. In queste storie troviamo la forza di non cedere alla rassegnazione e credere che la pace sia possibile! Perché la pace non è solo assenza di conflitti. Non è solo l’accordo che si trova per mettere fine ad azioni militari. Possiamo costruirla, dobbiamo preservarla PRIMA che si metta in moto la macchina della violenza e a prescindere da ogni possibile conflitto. Non è solo la risposta. La pace dovrebbe essere una costante opera di prevenzione di ogni guerra. Perché spesso i segnali ci sono tutti, perché le guerre non si inventano. Si preparano, si giustificano, con un’escalation montata a dovere per scagionare da ogni accusa i mandanti dei conflitti armati. La pace dovrebbe essere la condizione alla quale lavoriamo tutti per il bene della nostra Terra. 

Perché la pace si coniuga con libertà, giustizia, disarmo, riconoscimento dei diritti, democrazia, solidarietà. Non può rimanere solo una bella parola presente nei trattati internazionali, negli statuti degli organismi mondiali, nelle carte costituzionali dei paesi. È opera di tutti i giorni, ed essere “strumenti della pace”, come amava dire San Francesco, uomo, santo, che ha cercato di fermare la follia delle crociate, credo significhi proprio cercare di costruirla nel nostro quotidiano, che è poi il nostro ultimo raggio d’azione. Lavorare per evitare disgregazione, esclusioni, confinamenti. Essere capaci di ricomporre ciò che è andato a pezzi. Disarmare la violenza come risoluzione dei conflitti. Favorire parole che sappiano guarire e riunire. Essere costruttore di pace è saper guardare chi vive ai margini e restituirgli la sua dignità di uomo, di donna. Credere che le appartenenze siano solo un arricchimento, e non un motivo di separazione. Scegliere di accogliere l’umanità che c’è dentro ad ogni volto. Abbattere le ideologie ed i nazionalismi che hanno bisogno di muri, confini spinati, reti metalliche, guardie armate, nemici. Costruire la pace è anche stare sul pezzo, informarsi, formarsi, studiare. Per non farsi manipolare. Per tenere gli occhi aperti sulle vicende del mondo, che riguardano anche noi. Tutto ciò deve poi aiutarci a dare più efficacia e concretezza alle nostre azioni, ai nostri gesti, alle nostre parole. È importante andare a scovare voci profetiche e fare rete con tutti coloro che fanno della costruzione della pace il lavoro di tutti i giorni. Ci sentiremo meno soli ed affranti davanti alla situazione desolante che stiamo vivendo. Dire “no alla guerra” significa poi andare ad incontrare i rifugiati dell’Ucraina e di tutti i conflitti che sono qui a casa nostra. Incrociare i loro occhi, ascoltare le loro storie, accarezzare le loro ferite. 

La guerra non sarà più solo quello spettacolo tremendo che vediamo dalle nostre televisioni. Avrà dei volti precisi, dei nomi, dei vissuti ed i nostri gesti, le nostre parole, saranno una risposta concreta a questo dolore. Siamo su questa terra per prenderci cura della vita e delle persone. La pace comincia da qui. È una scelta di campo. Un lavoro faticoso, esigente, mai finito. Per il bene di questo mondo che abbiamo ereditato per coloro che verranno. La pace è concretezza che si esprime nel nostro giorno dopo giorno, nelle relazioni che viviamo, senza mai perdere lo sguardo a chi vive ai margini, a chi sta lontano, a chi vive in situazioni di guerra e di violenza, nella certezza consapevole di non essere soli. “Se non esiste la pace, è perché abbiamo dimenticato che apparteniamo gli uni agli altri”, diceva Madre Teresa di Calcutta. La pace nasce da questo senso di appartenenza che non possiamo mai perdere lungo la strada, e che dobbiamo continuare a tessere, costruire, consolidare. La pace è qui, ora, adesso, e finché ci sarà un solo gesto di pace, il mondo sarà salvo. La pace fa male perché non chiude gli occhi sui dolori del mondo. Si fa presente, per ricostruire un domani che abbia il sapore della vita vera, della felicità. Per tutti! Teniamoci dentro questa domanda che sembra farci la pace: “ci vuoi credere con me?”. Ad ognuno di noi di inventare e scrivere la migliore risposta! Con la vita, con atti, gesti, parole significative che salvaguardino quel desiderio di pace che portiamo tutti nel cuore. Perché una volta finita questa crisi, questa guerra in Ucraina, della quale non riusciamo ancora ad individuarne le conseguenze, i terribili, possibili sviluppi che a volte si prospettano, non deponiamo le ragioni della pace, ma continuiamo ad esserne dei risoluti difensori in ogni angolo del mondo. In ogni momento della vita! “Non possiamo disperare nell’umanità, dal momento che noi stessi siamo esseri umani”, diceva Albert Einstein. Sì, anche se nel mondo ci sono un mare di cose che non sopportiamo, che ci disgustano, che ci sgomentano, non possiamo, non dobbiamo perdere per strada il nostro credo nelle incredibili risorse dell’umanità! Non è ingenuo ottimismo. Non è il voler vedere a tutti i costi positività anche quando tutto sembra essere marcio e corrotto. È credere che al di là del grande fracasso che ci circonda, c’è un’umanità che resiste e non si arrende, e che continua e continuerà a preservare la vita e le persone. Spesso nel silenzio e lontano dai riflettori. Ecco perché è importante nutrirci dell’umanità di cui è piena la storia, di cui siamo circondati. Il mondo ci apparirà meno brutto e desolante. Nonostante tutto. Al di là di ogni cosa terribile che ci avvolge. Voglio concludere questo umile contributo, con un accenno all’irrequietezza

Non possiamo essere irrequieti solo quando i tempi sono difficili. L’irrequietezza dovrebbe essere quel fuoco che ci portiamo dentro ogni santo giorno. Che ci fa opporre a ciò che non fa vivere il mondo. Che ci fa resistere a quella quiete complice di troppi dolori. Possiamo, dobbiamo, prevenire costruendo tenacemente ed ogni giorno una consolidata e lungimirante pace. E l’irrequietezza può essere la nostra forza per farlo. Perché l’irrequietezza è molto più potente dell’emotività che ci struggendo, e ci aiuterà a trovare le risposte migliori di fronte al dolore che stiamo vivendo.


L'AUTORE

Andrea Polidoro

"Nato per caso a Milano, ma da sempre “cittadino del mondo”. Naturalmente fedele, ma nomade dentro.
Gli anni decisivi della mia gioventù li ho vissuti accanto alle persone in difficoltà e che vivono ai margini, attraverso diverse esperienze nel sociale in Italia e all’estero.
Poi dopo il grande viaggio della vita (6 mesi in America centrale), sono diventato infermiere.
Ho vissuto 8 anni questa nobile professione, ma nel dolore di vedere la sanità maltrattata, ho deciso di girare pagina.
Dopo mesi passati sui cammini più conosciuti (Santiago, via Francigena, Gerusalemme), sono diventato Guida Ambientale Escursionistica (e lo sono tuttora!).
Ora lavoro soprattutto come “Guida Digitale”. Aiuto cioè chiunque abbia la necessità di creare o migliorare la presenza nel web della sua azienda, attività, o ente no profit. Tutto ciò attraverso gli strumenti che abbiamo a disposizione (siti web, social media, marketing digitale, ecc.). In una parola, mi diverto, “viaggio” con i miei clienti e resto libero!"

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