L'intelligenza artificiale uno strumento affascinante e tremendo -di Papa Francesco-
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Gentili Signore, illustri Signori!
Mi rivolgo oggi a Voi, Leader del Forum Intergovernativo del
G7, con una riflessione sugli effetti dell’intelligenza artificiale sul futuro
dell’umanità.
«La Sacra Scrittura attesta che Dio ha donato agli uomini il
suo Spirito affinché abbiano “saggezza, intelligenza e scienza in ogni genere
di lavoro” ( Es 35,31)» [1]. La scienza e la tecnologia sono dunque prodotti
straordinari del potenziale creativo di noi esseri umani.
Ebbene, è proprio dall’utilizzo di questo potenziale
creativo che Dio ci ha donato che viene alla luce l’intelligenza artificiale.
Quest’ultima, come è noto, è uno strumento estremamente
potente, impiegato in tantissime aree dell’agire umano: dalla medicina al mondo
del lavoro, dalla cultura all’ambito della comunicazione, dall’educazione alla
politica. Ed è ora lecito ipotizzare che il suo uso influenzerà sempre di più
il nostro modo di vivere, le nostre relazioni sociali e nel futuro persino la
maniera in cui concepiamo la nostra identità di esseri umani.
Il tema dell’intelligenza artificiale è, tuttavia, spesso
percepito come ambivalente: da un lato, entusiasma per le possibilità che
offre, dall’altro genera timore per le conseguenze che lascia presagire. A
questo proposito si può dire che tutti noi siamo, anche se in misura diversa,
attraversati da due emozioni: siamo entusiasti, quando immaginiamo i progressi
che dall’intelligenza artificiale possono derivare, ma, al tempo stesso, siamo
impauriti quando constatiamo i pericoli inerenti al suo uso.
Non possiamo, del resto, dubitare che l’avvento
dell’intelligenza artificiale rappresenti una vera e propria rivoluzione
cognitivo-industriale, che contribuirà alla creazione di un nuovo sistema
sociale caratterizzato da complesse trasformazioni epocali. Ad esempio,
l’intelligenza artificiale potrebbe permettere una democratizzazione
dell’accesso al sapere, il progresso esponenziale della ricerca scientifica, la
possibilità di delegare alle macchine i lavori usuranti; ma, al tempo stesso,
essa potrebbe portare con sé una più grande ingiustizia fra nazioni avanzate e
nazioni in via di sviluppo, fra ceti sociali dominanti e ceti sociali oppressi,
mettendo così in pericolo la possibilità di una “cultura dell’incontro” a
vantaggio di una “cultura dello scarto”.
La portata di queste complesse trasformazioni è ovviamente
legata al rapido sviluppo tecnologico dell’intelligenza artificiale stessa.
Proprio questo vigoroso avanzamento tecnologico rende
l’intelligenza artificiale uno strumento affascinante e tremendo al tempo
stesso ed impone una riflessione all’altezza della situazione.
In tale direzione forse si potrebbe partire dalla
costatazione che l’intelligenza artificiale è innanzitutto uno strumento. E
viene spontaneo affermare che i benefici o i danni che essa porterà
dipenderanno dal suo impiego.
Questo è sicuramente vero, poiché così è stato per ogni
utensile costruito dall’essere umano sin dalla notte dei tempi.
Questa nostra capacità di costruire utensili, in una
quantità e complessità che non ha pari tra i viventi, fa parlare di una
condizione tecno-umana: l’essere umano ha da sempre mantenuto una relazione con
l’ambiente mediata dagli strumenti che via via produceva. Non è possibile
separare la storia dell’uomo e della civilizzazione dalla storia di tali
strumenti. Qualcuno ha voluto leggere in tutto ciò una sorta di mancanza, un
deficit, dell’essere umano, come se, a causa di tale carenza, fosse costretto a
dare vita alla tecnologia. Uno sguardo attento e oggettivo in realtà ci mostra
l’opposto. Viviamo una condizione di ulteriorità rispetto al nostro essere
biologico; siamo esseri sbilanciati verso il fuori-di-noi, anzi radicalmente
aperti all’oltre. Da qui prende origine la nostra apertura agli altri e a Dio;
da qui nasce il potenziale creativo della nostra intelligenza in termini di
cultura e di bellezza; da qui, da ultimo, si origina la nostra capacità
tecnica. La tecnologia è così una traccia di questa nostra ulteriorità.
Tuttavia, l’uso dei nostri utensili non sempre è
univocamente rivolto al bene. Anche se l’essere umano sente dentro di sé una
vocazione all’oltre e alla conoscenza vissuta come strumento di bene al
servizio dei fratelli e delle sorelle e della casa comune (cfr Gaudium et spes,
16), non sempre questo accade. Anzi, non di rado, proprio grazie alla sua
radicale libertà, l’umanità ha pervertito i fini del suo essere trasformandosi
in nemica di sé stessa e del pianeta [6]. Stessa sorte possono avere gli strumenti
tecnologici. Solo se sarà garantita la loro vocazione al servizio dell’umano,
gli strumenti tecnologici riveleranno non solo la grandezza e la dignità unica
dell’essere umano, ma anche il mandato che quest’ultimo ha ricevuto di
“coltivare e custodire” (cfr Gen 2,15) il pianeta e tutti i suoi abitanti.
Parlare di tecnologia è parlare di cosa significhi essere umani e quindi di
quella nostra unica condizione tra libertà e responsabilità, cioè vuol dire
parlare di etica.
Quando i nostri antenati, infatti, affilarono delle pietre
di selce per costruire dei coltelli, li usarono sia per tagliare il pellame per
i vestiti sia per uccidersi gli uni gli altri. Lo stesso si potrebbe dire di
altre tecnologie molto più avanzate, quali l’energia prodotta dalla fusione
degli atomi come avviene sul Sole, che potrebbe essere utilizzata certamente
per produrre energia pulita e rinnovabile ma anche per ridurre il nostro
pianeta in un cumulo di cenere.
L’intelligenza artificiale, però, è uno strumento ancora più
complesso. Direi quasi che si tratta di uno strumento sui generis. Così, mentre
l’uso di un utensile semplice (come il coltello) è sotto il controllo
dell’essere umano che lo utilizza e solo da quest’ultimo dipende un suo buon
uso, l’intelligenza artificiale, invece, può adattarsi autonomamente al compito
che le viene assegnato e, se progettata con questa modalità, operare scelte
indipendenti dall’essere umano per raggiungere l’obiettivo prefissato.
Conviene sempre ricordare che la macchina può, in alcune
forme e con questi nuovi mezzi, produrre delle scelte algoritmiche. Ciò che la
macchina fa è una scelta tecnica tra più possibilità e si basa o su criteri ben
definiti o su inferenze statistiche. L’essere umano, invece, non solo sceglie,
ma in cuor suo è capace di decidere. La decisione è un elemento che potremmo
definire maggiormente strategico di una scelta e richiede una valutazione
pratica. A volte, spesso nel difficile compito del governare, siamo chiamati a
decidere con conseguenze anche su molte persone. Da sempre la riflessione umana
parla a tale proposito di saggezza, la phronesis della filosofia greca e almeno
in parte la sapienza della Sacra Scrittura. Di fronte ai prodigi delle
macchine, che sembrano saper scegliere in maniera indipendente, dobbiamo aver
ben chiaro che all’essere umano deve sempre rimanere la decisione, anche con i
toni drammatici e urgenti con cui a volte questa si presenta nella nostra vita.
Condanneremmo l’umanità a un futuro senza speranza, se sottraessimo alle
persone la capacità di decidere su loro stesse e sulla loro vita condannandole
a dipendere dalle scelte delle macchine. Abbiamo bisogno di garantire e
tutelare uno spazio di controllo significativo dell’essere umano sul processo
di scelta dei programmi di intelligenza artificiale: ne va della stessa dignità
umana.
Proprio su questo tema permettetemi di insistere: in un
dramma come quello dei conflitti armati è urgente ripensare lo sviluppo e
l’utilizzo di dispositivi come le cosiddette “armi letali autonome” per
bandirne l’uso, cominciando già da un impegno fattivo e concreto per introdurre
un sempre maggiore e significativo controllo umano. Nessuna macchina dovrebbe
mai scegliere se togliere la vita ad un essere umano
C’è da aggiungere, inoltre, che il buon uso, almeno delle
forme avanzate di intelligenza artificiale, non sarà pienamente sotto il
controllo né degli utilizzatori né dei programmatori che ne hanno definito gli
scopi originari al momento dell’ideazione. E questo è tanto più vero quanto è
altamente probabile che, in un futuro non lontano, i programmi di intelligenze
artificiali potranno comunicare direttamente gli uni con gli altri, per
migliorare le loro performance. E, se in passato, gli esseri umani che hanno
modellato utensili semplici hanno visto la loro esistenza modellata da questi
ultimi – il coltello ha permesso loro di sopravvivere al freddo ma anche di
sviluppare l’arte della guerra – adesso che gli esseri umani hanno modellato
uno strumento complesso vedranno quest’ultimo modellare ancora di più la loro
esistenza.
Il meccanismo basilare dell’intelligenza artificiale
Vorrei ora soffermarmi brevemente sulla complessità
dell’intelligenza artificiale. Nella sua essenza l’intelligenza artificiale è
un utensile disegnato per la risoluzione di un problema e funziona per mezzo di
un concatenamento logico di operazioni algebriche, effettuato su categorie di
dati, che sono raffrontati per scoprire delle correlazioni, migliorandone il
valore statistico, grazie a un processo di auto-apprendimento, basato sulla
ricerca di ulteriori dati e sull’auto-modifica delle sue procedure di calcolo.
L’intelligenza artificiale è così disegnata per risolvere
dei problemi specifici, ma per coloro che la utilizzano è spesso irresistibile
la tentazione di trarre, a partire dalle soluzioni puntuali che essa propone,
delle deduzioni generali, persino di ordine antropologico.
Un buon esempio è l’uso dei programmi disegnati per aiutare
i magistrati nelle decisioni relative alla concessione dei domiciliari a
detenuti che stanno scontando una pena in un istituto carcerario. In questo
caso, si chiede all’intelligenza artificiale di prevedere la probabilità di
recidiva del crimine commesso da parte di un condannato a partire da categorie
prefissate (tipo di reato, comportamento in prigione, valutazione psicologiche
ed altro), permettendo all’intelligenza artificiale di avere accesso a
categorie di dati inerenti alla vita privata del detenuto (origine etnica,
livello educativo, linea di credito ed altro). L’uso di una tale metodologia –
che rischia a volte di delegare de facto a una macchina l’ultima parola sul
destino di una persona – può portare con sé implicitamente il riferimento ai
pregiudizi insiti alle categorie di dati utilizzati dall’intelligenza
artificiale.
L’essere classificato in un certo gruppo etnico o, più
prosaicamente, l’aver commesso anni prima un’infrazione minore (il non avere
pagato, per esempio, una multa per una sosta vietata), influenzerà, infatti, la
decisione circa la concessione dei domiciliari. Al contrario, l’essere umano è
sempre in evoluzione ed è capace di sorprendere con le sue azioni, cosa di cui
la macchina non può tenere conto.
C’è da far presente poi che applicazioni simili a questa
appena citata subiranno un’accelerazione grazie al fatto che i programmi di
intelligenza artificiale saranno sempre più dotati della capacità di interagire
direttamente con gli esseri umani (chatbots), sostenendo conversazioni con loro
e stabilendo rapporti di vicinanza con loro, spesso molto piacevoli e
rassicuranti, in quanto tali programmi di intelligenza artificiale saranno
disegnati per imparare a rispondere, in forma personalizzata, ai bisogni fisici
e psicologici degli esseri umani.
Dimenticare che l’intelligenza artificiale non è un altro
essere umano e che essa non può proporre principi generali, è spesso un grave
errore che trae origine o dalla profonda necessità degli esseri umani di
trovare una forma stabile di compagnia o da un loro presupposto subcosciente,
ossia dal presupposto che le osservazioni ottenute mediante un meccanismo di
calcolo siano dotate delle qualità di certezza indiscutibile e di universalità
indubbia.
Questo presupposto, tuttavia, è azzardato, come dimostra
l’esame dei limiti intrinseci del calcolo stesso. L’intelligenza artificiale
usa delle operazioni algebriche da effettuarsi secondo una sequenza logica (per
esempio, se il valore di X è superiore a quello di Y, moltiplica X per Y;
altrimenti dividi X per Y). Questo metodo di calcolo – il cosiddetto
“algoritmo” – non è dotato né di oggettività né di neutralità. Essendo infatti
basato sull’algebra, può esaminare solo realtà formalizzate in termini numerici.
Non va dimenticato, inoltre, che gli algoritmi disegnati per
risolvere problemi molto complessi sono così sofisticati da rendere arduo agli
stessi programmatori la comprensione esatta del come essi riescano a
raggiungere i loro risultati. Questa tendenza alla sofisticazione rischia di
accelerarsi notevolmente con l’introduzione di computer quantistici che non
opereranno con circuiti binari (semiconduttori o microchip), ma secondo le
leggi, alquanto articolate, della fisica quantistica. D’altronde, la continua
introduzione di microchip sempre più performanti è diventata già una delle
cause del predominio dell’uso dell’intelligenza artificiale da parte delle
poche nazioni che ne sono dotate.
Sofisticate o meno che siano, la qualità delle risposte che
i programmi di intelligenza artificiale forniscono dipendono in ultima istanza
dai dati che essi usano e come da questi ultimi vengono strutturati.
Mi permetto di segnalare, infine, un ultimo ambito in cui
emerge chiaramente la complessità del meccanismo della cosiddetta intelligenza
artificiale generativa (Generative Artificial Intelligence). Nessuno dubita che
oggi sono a disposizione magnifici strumenti di accesso alla conoscenza che
permettono persino il self-learning e il self-tutoring in una miriade di campi.
Molti di noi sono rimasti colpiti dalle applicazioni facilmente disponibili
on-line per comporre un testo o produrre un’immagine su qualsiasi tema o
soggetto. Particolarmente attratti da questa prospettiva sono gli studenti che,
quando devono preparare degli elaborati, ne fanno un uso sproporzionato.
Questi alunni, che spesso sono molto più preparati e
abituati all’uso dell’intelligenza artificiale dei loro professori,
dimenticano, tuttavia, che la cosiddetta intelligenza artificiale generativa,
in senso stretto, non è propriamente “generativa”. Quest’ultima, in verità,
cerca nei big data delle informazioni e le confeziona nello stile che le è
stato richiesto. Non sviluppa concetti o analisi nuove. Ripete quelle che
trova, dando loro una forma accattivante. E più trova ripetuta una nozione o
una ipotesi, più la considera legittima e valida. Più che “generativa”, essa è
quindi “rafforzativa”, nel senso che riordina i contenuti esistenti,
contribuendo a consolidarli, spesso senza controllare se contengano errori o
preconcetti.
In questo modo, non solo si corre il rischio di legittimare
delle fake news e di irrobustire il vantaggio di una cultura dominante, ma di
minare altresì il processo educativo in nuce. L’educazione che dovrebbe fornire
agli studenti la possibilità di una riflessione autentica rischia di ridursi a
una ripetizione di nozioni, che verranno sempre di più valutate come
inoppugnabili, semplicemente in ragione della loro continua riproposizione.
Rimettere al centro la dignità della persona in vista di
una proposta etica condivisa
A quanto già detto va ora aggiunta un’osservazione più
generale. La stagione di innovazione tecnologica che stiamo attraversando,
infatti, si accompagna a una particolare e inedita congiuntura sociale: sui
grandi temi del vivere sociale si riesce con sempre minore facilità a trovare
intese. Anche in comunità caratterizzate da una certa continuità culturale, si
creano spesso accesi dibattiti e confronti che rendono difficile produrre
riflessioni e soluzioni politiche condivise, volte a cercare ciò che è bene e
giusto. Oltre la complessità di legittime visioni che caratterizzano la
famiglia umana, emerge un fattore che sembra accomunare queste diverse istanze.
Si registra come uno smarrimento o quantomeno un’eclissi del senso dell’umano e
un’apparente insignificanza del concetto di dignità umana. Sembra che si stia
perdendo il valore e il profondo significato di una delle categorie
fondamentali dell’Occidente: la categoria di persona umana. Ed è così che in
questa stagione in cui i programmi di intelligenza artificiale interrogano
l’essere umano e il suo agire, proprio la debolezza dell’ ethos connesso alla
percezione del valore e della dignità della persona umana rischia di essere il
più grande vulnus nell’implementazione e nello sviluppo di questi sistemi. Non
dobbiamo dimenticare infatti che nessuna innovazione è neutrale. La tecnologia
nasce per uno scopo e, nel suo impatto con la società umana, rappresenta sempre
una forma di ordine nelle relazioni sociali e una disposizione di potere, che
abilita qualcuno a compiere azioni e impedisce ad altri di compierne altre.
Questa costitutiva dimensione di potere della tecnologia include sempre, in una
maniera più o meno esplicita, la visione del mondo di chi l’ha realizzata e
sviluppata.
Questo vale anche per i programmi di intelligenza artificiale. Affinché questi ultimi siano strumenti per la costruzione del bene e di un domani migliore, debbono essere sempre ordinati al bene di ogni essere umano. Devono avere un’ispirazione etica.
La decisione etica, infatti, è quella che tiene conto non
solo degli esiti di un’azione, ma anche dei valori in gioco e dei doveri che da
questi valori derivano. Per questo ho salutato con favore la firma a Roma, nel
2020, della Rome Call for AI Ethics e il suo sostegno a quella forma di
moderazione etica degli algoritmi e dei programmi di intelligenza artificiale
che ho chiamato “algoretica”. In un contesto plurale e globale, in cui si
mostrano anche sensibilità diverse e gerarchie plurali nelle scale dei valori,
sembrerebbe difficile trovare un’unica gerarchia di valori. Ma nell’analisi
etica possiamo ricorrere anche ad altri tipi di strumenti: se facciamo fatica a
definire un solo insieme di valori globali, possiamo però trovare dei principi
condivisi con cui affrontare e sciogliere eventuali dilemmi o conflitti del
vivere.
Per questa ragione è nata la Rome Call: nel termine
“algoretica” si condensano una serie di principi che si dimostrano essere una
piattaforma globale e plurale in grado di trovare il supporto di culture,
religioni, organizzazioni internazionali e grandi aziende protagoniste di
questo sviluppo.
La politica di cui c’è bisogno
Non possiamo, quindi, nascondere il rischio concreto, poiché
insito nel suo meccanismo fondamentale, che l’intelligenza artificiale limiti
la visione del mondo a realtà esprimibili in numeri e racchiuse in categorie
preconfezionate, estromettendo l’apporto di altre forme di verità e imponendo
modelli antropologici, socio-economici e culturali uniformi. Il paradigma
tecnologico incarnato dall’intelligenza artificiale rischia allora di fare
spazio a un paradigma ben più pericoloso, che ho già identificato con il nome
di “paradigma tecnocratico”. Non possiamo permettere a uno strumento così
potente e così indispensabile come l’intelligenza artificiale di rinforzare un
tale paradigma, ma anzi, dobbiamo fare dell’intelligenza artificiale un
baluardo proprio contro la sua espansione.
Ed è proprio qui che è urgente l’azione politica, come
ricorda l’Enciclica Fratelli tutti. Certamente «per molti la politica oggi è
una brutta parola, e non si può ignorare che dietro questo fatto ci sono spesso
gli errori, la corruzione, l’inefficienza di alcuni politici. A ciò si
aggiungono le strategie che mirano a indebolirla, a sostituirla con l’economia
o a dominarla con qualche ideologia. E tuttavia, può funzionare il mondo senza
politica? Può trovare una via efficace verso la fraternità universale e la pace
sociale senza una buona politica?».
La nostra risposta a queste ultime domande è: no! La
politica serve! Voglio ribadire in questa occasione che «davanti a tante forme
di politica meschine e tese all’interesse immediato […] la grandezza politica
si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi
e pensando al bene comune a lungo termine. Il potere politico fa molta fatica
ad accogliere questo dovere in un progetto di Nazione e ancora di più in un
progetto comune per l’umanità presente e futura».
Gentili Signore, illustri Signori!
Questa mia riflessione sugli effetti dell’intelligenza
artificiale sul futuro dell’umanità ci conduce così alla considerazione
dell’importanza della “sana politica” per guardare con speranza e
fiducia al nostro avvenire. Come ho già detto altrove, «la società mondiale ha
gravi carenze strutturali che non si risolvono con rattoppi o soluzioni veloci
meramente occasionali. Ci sono cose che devono essere cambiate con reimpostazioni
di fondo e trasformazioni importanti. Solo una sana politica potrebbe averne la
guida, coinvolgendo i più diversi settori e i più vari saperi. In tal modo,
un’economia integrata in un progetto politico, sociale, culturale e popolare
che tenda al bene comune può “aprire la strada a opportunità differenti, che
non implicano di fermare la creatività umana e il suo sogno di progresso, ma
piuttosto di incanalare tale energia in modo nuovo” ( Laudato si’, 191)» .
Questo è proprio il caso dell’intelligenza artificiale.
Spetta ad ognuno farne buon uso e spetta alla politica creare le condizioni
perché un tale buon uso sia possibile e fruttuoso.
Grazie.
Papa Francesco
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