Epatite C: c’era una volta …fantasia o realtà?

"Riduzione del 90% di tutte le infezioni da epatite virale e del 65% dei decessi ad esse correlate entro il 2030”: questi gli obiettivi principali discussi alla“World Health Assembly” (Assemblea sulla Salute Mondiale)durante la presentazione del piano 2016-2021 per l’eradicazione globale delle epatiti virali[1].

Alla fine del 2015 erano circa 325 milioni le persone affette da epatite cronica in tutto il mondo: 257 milioni con epatite B e 71 milioni con epatite C. I decessi si stimano attorno a 1.4 milioni solo per il 2015 e ben pochi sono risultati i pazienti consapevoli della loro malattia e sottoposti a terapia. Infatti, si stima che solo per il 9% dei soggetti colpiti da epatite B e il 20% di quelli con epatite C sia stata diagnosticata la patologia e rispettivamente l’8% e il 7% abbia iniziato un trattamento[2]. Questi dati sono stati presentati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in occasione della Giornata Mondiale dell’Epatite 2017.



Figura 1. Prevalenza dell'epatite C nel mondo - Fonte: Robaeys et al. 2016[3]

Il virus dell’epatite in generale rappresenta quindi uno fra iprincipali problemi di salute globale dei nostri tempi e necessita di soluzioni urgenti soprattutto in paesi a basso o medio livello di sviluppo.Tuttavia, in linea con gli obiettivi del pianodella “World Health Assembly”, qualcosa sta cambiando. I pazienti trattati per epatite B sono infatti passati da 1.1 milioni nel 2015 a 1.76 nel 2016, mentre per l’epatite C si è registrato un incremento di trattamenti ancor più significativo, da 1.7 a 2.8 milioni. Ad oggi, inoltre, molti paesi hanno già fissato, e in parte attuato, strategie interne d’intervento nonostante ci siano aspetti ancora da migliorare, quali la tempistica e l’accuratezza della diagnosi oltre che il prezzo dei farmaci, estremamente variabile a seconda del potere d’acquisto del paese acquirente. Si passa infatti,ad esempio, da 78 dollari per ciclo di terapia consofosbuvir o daclatasvirin India, ai 96 mila dollar inegli Stati Uniti d’America [2].

L’Italia tra numeri e farmaci

E in Italia? Quali passi sono stati fatti e verso quale direzione stiamo andando?

Il nostro Paese, aderendo alla proposta fatta dall’OMS nel 2010, ha sviluppato e introdotto già due anni fa il “Piano Nazionale per la Prevenzione delle Epatiti Virali”[4].Sono circa 300mila i casi diagnosticati di epatite C in Italia, tuttavia la stima reale di quanti ne siano affetti è difficile da determinare vista la “silenziosità” della malattia e il fatto che molti casi sono da ricercare tra i consumatori abituali di droghe che non sempre sono seguiti da strutture di cura pubbliche [5].

In seguito alla recente definizione degli 11 criteri di trattamento da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), è stato possibile ampliare la quota di pazienti con epatite C presi in carico dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN). A questo proposito, AIFA rende pubblici settimanalmente i dati raccolti attraverso un registro attivato nel dicembre 2014 e relativo al numero di trattamenti avviati. A fine novembre 2017,i pazienti con epatite C sottoposti a terapia sono risultati oltre 103 mila, circa il 40% dei 240 mila che il piano del Ministro della Salute intende complessivamente trattare nel triennio [4],[6]. Questi numeri sono senz’altro apprezzabili tenendo presente le innumerevoli discussioni e contrattazioni che negli ultimi anni hanno visto protagonisti, da un lato, le industrie farmaceutiche, dall’altro, gli enti regolatori e il Ministero della Salute, oltre che diverse associazioni di cittadini che hanno contestato la posizione di mercato unica di alcune aziende produttrici [8],[9],[10], [11].

Ripercorrendo la storia, prima del 2010 l’unica opzione di trattamento per l’epatite C era rappresentata da interferone associato a ribavirina. Le percentuali di successo, tuttavia, erano di appena la metà di tutti i trattamenti che, al contrario, presentavano frequenti effetti collaterali. Da gennaio 2014 sono stati immessi nel mercato europeo nuovi farmaci antivirali ad “azione diretta” molto più efficaci. Il nostro Governo, ma non solo, si è dunque trovato a contrattare l’acquisto dei farmaci con le aziende detentrici del brevetto e, quindi, dell’esclusiva di produzione. Il prezzo era notevole, circa 80mila euro per singolo ciclo di terapia, cosicché il nostro SSN ha inizialmente deciso di trattare solo i pazienti più gravi. Dopo manovre e accesi dibattiti, si è riuscito ad ottenere un importante ribasso dei prezzi,arrivando a circa 5 mila euro per dodici settimane di terapia e ad ampliare in questo modo il numero di pazienti presi in carico oltre che la varietà di farmaci. Ad oggi in Italia, per il trattamento dell’epatite C, abbiamo infatti a disposizione 8 terapie interamente rimborsabili [7]. L’ultimo arrivato sul mercato è Maviret, approvato da AIFA a fine settembre scorso, inserito nel fondo destinato ai farmaci innovativi, visto che riporta, a differenza degli altri, dati di efficacia contro tutte le varianti o “genotipi”dell’epatite C. Di fatto, si tratta della combinazione di due principi attivi, glecaprevir e pibrentasvir, da assumere per otto settimane all’anno ed è indicato principalmente per “pazienti naïve”, cioè privi di cirrosi e non sottoposti a trattamenti precedenti con altri antivirali. La sua somministrazione è allargata, in caso di bisogno, anche a pazienti con quadro clinico più grave cioè con cirrosi iniziale o con limitate opzioni di trattamento[12] [13].

Lo scopo finale dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e di AIFA rimane comunque quello di trattare tutti i pazienti con epatite C. Il piano sanitario che punta al trattamento di tutti i pazienti, anche i più lievi e asintomatici, è risultato, oltre che positivo per lo stato di salute generale, anche sostenibile dal punto di vista economico.Tale sostenibilità economica è stata dimostrata attraverso uno studio coordinato dall’ISS che ha visto il coinvolgimento di 100 centri clinici italiani con più di 8mila pazienti in totale. L’obiettivo principale dell’analisi è stato infatti quello di determinare il profilo di costo-efficacia della politica sanitaria anti-epatite C “universale”.

"L’Italia rappresenta una peculiarità per quanto riguarda l’infezione da virus dell’epatite C - dichiara il Presidente dell’ISS - in quanto è uno dei paesi con maggior prevalenza dell’infezione in Europa. Per questo motivo, il nostro studio, che ha permesso di generalizzare i dati di costo beneficio a partire dai dati di pazienti arruolati nella coorte PITER senza nessuna discriminazione in termini socio-demografici e di assistenza sanitaria, fa dell’Italia un modello per l’Europa e per il mondo […]".

I risultati ottenuti hanno dimostrato come il trattamento allargato permetta un incremento dei benefici in termine di salute pubblica anche nel lungo termine. Secondo la Dr.ssa Loreta Kondili, ricercatore presso il Centro per la salute Globale dell’ISS e responsabile scientifico dello studio, “i benefici proiettati negli anni dopo l’eliminazione del virus con la terapia antivirale, sin nelle fasi precoci del danno del fegato, sono stimati in casi evitati di pazienti con cirrosi del fegato e con tutte le conseguenti complicanze […] nel miglioramento della qualità di vita dei pazienti guariti e nella riduzione dei costi sanitari delle cure in riferimento alle patologie HCV correlate"[14].

Al generale entusiasmo per le azioni intraprese si contrappongono tuttavia pareri più cauti. 

Non basta infatti solo avere a disposizione un’ampia gamma di trattamenti efficaci ed economicamente sostenibili per risolvere completamente il problema, ma è importante soprattutto raggiungere e informare di queste possibilità tutti i pazienti, anche quelli socialmente più emarginati. Importante per la messa in atto di questo aspetto risulta essere il coinvolgimento di tutte le parti interessate, a partire dal medico di famiglia. È stata inoltre sottolineata l’esigenza di approfondire gli studi per quei pazienti che sviluppano resistenze alle terapie correntemente in uso [15].

Quando la consapevolezza è un gioco di squadra

Prima di arrivare a dover trattare non è forse meglio coinvolgere i cittadini e renderli così più consapevoli in modo da evitarne a monte il contagio? 

Per far avvicinare le persone a questo problema, la stessa OMS, sempre in occasione della Giornata mondiale dell’Epatite 2017, ha promosso lo slogan “#Show Your Face” cioè “mettici la faccia” che si è concretizzato in una campagna fotografica, un grande selfie di gruppo, per evidenziare come l’epatite sia un problema che riguarda tutti, non solo chi ne è colpito. Alla foto del singolo volto infatti si accompagna una breve frase “Io sono…” con lo scopo di aumentare il coinvolgimento delle persone e far capire la loro importanza anche in un ambito dal quale molto spesso, se non coinvolte in prima persona, si sentono estranee e lontane [16]. 

Rivolgendo invece l’attenzione tra le iniziative di prevenzione attivate in Italia, si distingue quella che vede il coinvolgimento dell’istituto detentivo di Viterbo. EpaC Onlus in collaborazione con la “Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria”e il patrocinio del Ministero della Giustizia, del Consiglio regionale del Lazio e dell’Asl di Viterbo, ha da poco dato il via ad un progetto pilota articolato in 20 incontri formativi e informativi nell’arco di sei mesi e rivolti non solo ai detenuti ma anche al personale sanitario e di vigilanza della struttura [17]. 

Cosa segnare in agenda per il futuro

Nonostante la strada da fare sia ancora lunga e tutta in salita, almeno per quanto riguarda lo scenario italiano possiamo dirci ottimisti. Dai dati di incidenza forniti dal “Sistema Epidemiologico Integrato dell'Epatite Virale Acuta” emerge infatti come negli ultimi anniil numero di nuovi casi di epatite stia diminuendo, fatta eccezione per l’epatite A[18].


Figura 2. Nuovi casi di epatiti virali/anno in Italia – Fonte SEIEVA 2017[18]

In un comunicato stampa infatti il Direttore Generale AIFA, sostiene che “L’obiettivo di eliminazione della malattia, indicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2030, non sembra più così lontano, come confermano anche i dati del recente World Hepatitis Summit tenutosi poche settimane fa in Brasile. Sarà importante continuare l’attività di informazione per favorire la prevenzione e lo screening della malattia e allo stesso tempo richiamare tutti gli attori al senso di responsabilità necessario a continuare a garantire la sostenibilità di queste cure salvavita per un numero sempre più ampio di persone.”[7].

Ragionando invece su scala mondiale e comprendendo tutte le forme dell’epatite virale è chiaro come sia ancora oggi necessario e urgente mettere in atto campagne di prevenzione, diagnosi e cura allargate e come anche la situazione di donne e bambini, per i quali gli antivirali ad azione diretta non sono indicati, desti notevole preoccupazione, soprattutto nei paesi africani[2].

Ricordiamo quindi le azioni prioritarie indicate dall’OMS per arrivare all’eliminazione del virus entro il 2030[1]: informazione, interventi, equità di accesso e di qualità delle cure, sostenibilità finanziaria e, infine, innovazione per favorire un rapido progresso. 

“Un effettivo miglioramento della strategia in risposta alle epatiti virali dipende dall’azione coordinata di tutti i soggetti coinvolti nel campo della salute. Il successo richiede una forte coesione […].” [1]. 



Laboratorio di ricerca per il coinvolgimento dei cittadini in sanità 

Dipartimento di Salute Pubblica 

IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri

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