Gli shoppinati
Long Island, 5 del mattino, la folla è assiepata davanti
alle porte chiuse del grande magazzino, per accaparrarsi le super offerte del
Black Friday. Cinque minuti prima dell’apertura prevista, le porte di Walmart
crollano verso l’interno sotto il peso della folla. Si riversano nel
magazzino a centinaia, uno tsunami di acquirenti isterici travolge
completamente gli impiegati, tra cui Jdimytai Damour, un immigrato
haitiano che aveva trovato lavoro temporaneo per le vacanze della festa del
ringraziamento, è travolto dalla folla e calpestato, calpestato da acquirenti
che corrono per entrare nel corridoi. I medici che si precipitano in suo
soccorso vengono spintonati e calpestati anche dagli acquirenti. Damour è stato
dichiarato morto appena dopo le 6 del mattino. Morì di asfissia,
letteralmente calpestato a morte. Nello stesso fuggi fuggi, altri tre sono
stati ricoverati in ospedale, tra cui una donna incinta che ha subito un aborto
mentre veniva buttata giù dalla folla.
Questo avvenne durante il Black Friday del 2008 a Valley
Stream, New York, forse uno degli esempi più brutali dell’isteria dei
consumatori di massa.
Quello stesso giorno nella parte opposta del paese, a Palm
Desert, in California, una rissa all’interno di Toys “R” Us si trasformò in una
sparatoria mortale quando due donne e i loro mariti litigarono per accaparrarsi
un giocattolo. Il tutto finì con due morti. Nel 2011, in un altro Walmart a Los
Angeles, una donna iniziò a spruzzare pepe contro gli occhi degli acquirenti
per acquistare per prima la Xbox scontata.
MORIRE PER LA SMANIA DI ACQUISTO, MORIRE DI CONSUMISMO
Il termine “consumismo” non si riferisce semplicemente a
fattori immediati nella nostra vita quotidiana come l’onnipresenza della
pubblicità, ma tutto ciò che è collegato all’idea dominante nella nostra
società moderna che per essere persone più felici, migliori e di maggior
successo dobbiamo avere più roba.
Anche se quando parliamo di sistema consumistico dobbiamo
fare una riflessione, perché la parola consumare non ha senso: noi
non consumiamo, noi buttiamo via cose nuove.
Fondamentalmente, il consumismo è un modello socioeconomico
basato sull’ingegneria del desiderio. L’impulso materialista che alimenta
il capitalismo è sempre esistito all’interno della psiche umana, ma nei primi
anni del 20° secolo, l’industria pubblicitaria ha iniziato a usare tecniche
psicologiche per versare benzina sul fuoco del desiderio, facendoci acquistare
beni inutili.
Anche se lo scopo originario del consumismo è stato quello
di guidare la crescita economica manipolando le persone a spendere di più, si è
rapidamente evoluto in uno strumento di controllo sociale.
Tutto iniziò negli anni ’20 con un individuo
austriaco-americano di nome Edward
Bernays, che era anche il nipote del famoso psicologo Sigmund Freud.
Durante la prima guerra mondiale, Bernays lavorò come
propagandista per il presidente degli Stati Uniti, Woodrow Wilson, in sostengo
dello sforzo bellico statunitense per convincere il pubblico americano (che
preferiva l’isolazionismo a intromettersi negli affari esteri dell’epoca) che,
intervenendo nella prima guerra mondiale, avrebbero “portato la democrazia
in tutta Europa” – e chi non ama la democrazia?
Dopo aver assaporato il potere che deriva dal plasmare la
percezione pubblica e essere stupito dalla facilità con cui molte persone si
fossero innamorate di uno slogan a basso costo, Bernays cominciò a chiedersi
dopo la guerra se quelle stesse tecniche potessero essere usate in tempo di
pace. Bernays attingeva alle teorie di Gustave Le Bon, un teorico chiave
nel campo della psicologia della folla; Wilfred Trotter, un esperto nel
pensiero di massa; e alle tecniche psicoanalitiche di suo zio Freud – che
stava diventando una stella all’epoca – usandole per attingere alle menti
subconscie e inconsce delle masse. Fu lui ad inventare le pubbliche relazioni.
Lo storico Ann Douglas lo descrisse come l’uomo che “orchestrò
la commercializzazione della cultura” e ispirò innumerevoli altri
professionisti del marketing e psicologi aziendali fino ai giorni d’oggi.
LA TERRA E’ PIENA
Viviamo su un pianeta finito, in un paese che consuma molto
più del necessario per sopravvivere. Mentre ci lamentiamo della mancanza
di un jack per le cuffie del nuovo iPhone, interi villaggi in Africa non hanno
accesso all’acqua pulita. Ci chiediamo quali regali comprare alle persone
per Natale mentre i bambini yemeniti muoiono di fame. Questa cultura del
consumo, del materialismo, del profitto è incredibilmente privilegiata e
incredibilmente insostenibile.
Il 12% della popolazione che vive in Europa e negli Stati
Uniti, consuma il 60% dei beni del mondo mentre il 33% più povero, africano e
asiatico, consuma il 3%.
In una casa media ci sono 300 mila oggetti (dalle graffette
all’asse da stiro), e nel Regno Unito un bambino di dieci anni ha in media 238
giocattoli, anche se gioca con 10/12 giocattoli (o con le chiavi dei genitori).
Passiamo in media dieci minuti al giorno a cercare cose che
perdiamo: in una vita possono essere 200 giorni persi alla ricerca di qualcosa.
Quasi nulla, se paragonati ai duemila che passiamo comprando cose! E’ pazzesco.
Rispetto ai nostri nonni oggi possediamo due macchine a
persona, mangiamo il doppio delle volte e godiamo di infiniti altri prodotti
che non esistevano: televisori a grande schermo, forni a microonde, dispositivi
wireless portatili etc… Ma siamo più felici? “Rispetto ai loro nonni,
i giovani adulti di oggi sono cresciuti con molta più ricchezza, meno felicità
e un rischio molto maggiore di depressione e patologie sociali assortite”,
osserva lo psicologo dello Hope College David G. Myers.
IL DISTURBO DA ACCUMULO
Tra le tante patologie sociali ne è emersa una negli ultimi
anni denominata “Disturbo da Accumulo o Disposofobia” (Hoarding Disorder).
In Italia da 3 a 6 persone su 100 ne soffrono, è un disturbo che coinvolge la
sfera psichica e si manifesta nel conservare, accumulare oggetti di ogni
genere, senza valore, pericolosi, inutili e antigienici.
Pensate, Andy Warhol ne era
affetto, Dante relegò gli accumulatori al quarto girone infernale
(quello degli avari e dei prodighi), e i Fratelli Collyer morirono
letteralmente di accumulo: uno schiacciato dal peso degli oggetti accumulati
nella loro casa, probabilmente crollatigli addosso, e l’altro presumibilmente
di fame (si pensa che non riuscisse più ad uscire).
Su Change.org è partita una raccolta firma per la
sensibilizzazione sul tema e per far si che questo distrubo sia riconosciuto a
tutti gli effetti. Tutte le info qui.
LA GIORNATA DEL NON ACQUISTO
Proprio oggi è partito il Black Friday, la ricorrenza
statunitense che sancisce l’inizio degli acquisti natalizi, con offerte super
vantaggiose, e ormai adottata anche in Italia. Ma quello che dovremmo celebrare
è il Buy Nothing Day, il giorno del non acquisto: un giorno
annuale di azioni e proteste durante il Black Friday per attirare l’attenzione
sulla natura distruttiva di questa cultura dell’acquisto e offrire
un’alternativa alla pubblicità, allo shopping e al consumismo insensato. Il Buy
Nothing Day si è rapidamente diffuso negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in
Giappone, in Austria, in Israele e ora include la partecipazione in oltre 65
paesi in tutto il mondo. Tutte le iniziative le trovate qui.
Concludo con questo
articolo di Goffredo Parise, già pubblicato tempo fa sul Blog,
augurandovi un buon giorno del non acquisto! Ricordate, Il
rimedio è la povertà.
Scritto da: Beppe Grillo sul suo blog personale
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