Basta influencer, servono veri maestri: ma dove sono finiti?
Dove sono finiti i Maestri? Ci sono ancora, cosa dicono,
dove si annidano? E come chiamarli, oggi, Influencer, come Chiara Ferragni o la
Madonna secondo il Papa? Facile dire che mancando un pensiero, dispersi gli
intellettuali, sparito ogni orizzonte di attesa, i Maestri sono finiti insieme
ai loro insegnamenti. Sono finiti pure i Cattivi Maestri che come angeli
ribelli all’ordine divino si fecero demoni, insegnando la via dell’inferno come
riscatto degli oppressi. Spariti pure loro. Non a caso, l’unico italiano
riconosciuto tra i cento pensatori globali che hanno lasciato un segno, secondo
la rivista “Foreign Policy”, non è un filosofo, ma un fisico, Carlo Rovelli.
Allora, è proprio finita, dobbiamo rassegnarci a scegliere tra Fabrizio e Mauro
Corona? No, ragioniamoci su. Innanzitutto, definiamo una buona volta il
Maestro, anche nella variante di Guru, Ideologo, Vate. Chi è maestro? Non solo
chi trasmette un sapere ma chi diventa un punto di riferimento, un modello a
cui ispirarsi, un faro che non esprime solo una teoria o invita a compiere una
ricerca ma rischiara una via. Maestro è uno che ti cambia la vita o almeno lo
sguardo con cui vedi la vita. Uno che leggendolo, ascoltandolo, trasforma il
tuo modo di pensare e di vedere le cose.
Era facile al tempo delle ideologie e dell’Intellettuale
Organico, trovare Maestri e maestrini. Oggi di quel ramo ne sono rimasti forse
un paio, ma sono ai margini. Uno è il Cattivo Maestro per eccellenza, Toni
Negri, pensatore e latitante, teorico di Chiara Ferragni Autonomia Operaia e del
comunismo, autore di un’opera che ha sfondato nel mondo, “Impero”, seguita poi
da “Moltitudine”, due opere no global di un internazionalista che sogna ancora
la rivoluzione del proletariato. L’altro, più defilato e meno distruttivo, è
Mario Tronti, di cui è uscito ora “Il popolo perduto” (ed. Nutrimenti), che
piange il divorzio tra la sinistra e il popolo e la perdita di quel mondo
comunista legato alle sezioni e alle assemblee. È ormai su un pianeta diverso
un loro antico sodale, Massimo Cacciari, che in tv si è sgarbizzato e in
filosofia si è ritirato in una sfera mistica & catastrofica. Parallelo il
cammino di un altro non-Maestro, Giorgio Agamben. Restano sullo sfondo i Vecchi
Maestri Globali, ovvero quei pensatori che fanno filosofia per le masse
partendo dall’antropologia e dalla sociologia, come Edgar Morin e Marc Augé,
Hans Magnus Enzensberger e Serge Latouche, fino a ieri, Zigmunt Bauman e
Umberto Eco.
Non-luogo, Terra-Patria, Modernità liquida, Decrescita
felice, Perdente radicale, Ur-fascismo, sono paroline-mantra entrate nel gergo
corrente e nel minimo alfabeto degli Acculturati Aggiornati. Per il resto,
l’era dei social offre a ciascuno la possibilità di un selfie e di eleggersi a
maestri di se stessi per auto-acclamazione, facendo zapping nella rete,
cogliendo qua e là spunti e citazioni. Maestri riconosciuti in senso religioso
ormai sono solo in ambito esotico, extra-occidentale: sono guru o para-guru che
vengono dall’Oriente o che parlano nel nome di tradizioni religiose e più
spesso di sincretismi. Sulla scia di Osho, Sai Baba e altri santoni. I maestri
più veri preferiscono restare nascosti, poco accessibili se non per iniziati;
vanno cercati, e non pescati nei media o nei social. Un segno evidente di
scristianizzazione è che non ci sono Maestri d’ispirazione cristiana, e che a
dettareToni Negrile regole, anche nelle classifiche dei libri, siano gli stessi
papi, come Bergoglio e Ratzinger. Più defilati sono gli scrittori della Chiesa
come don Vincenzo Paglia, Gianfranco Ravasi e altri prelati che sfidano i tempi
e le librerie. Dopo i santi, finirono anche i maestri?
E nel mondo conservatore, nel versante “destro” o
alternativo alla globalizzazione? Resiste da decenni il maestro della Nouvelle
Droite Alain de Benoist con una produzione incessante di saggi. Su altri
versanti regge il filosofo inglese Roger Scruton, da lontano il pensatore russo
Aleksandr Dugin. Non mancano le zampate del vecchio Regis Débray, già marxista
e ora antiglobal col suo “Elogio delle frontiere”. A loro si aggiungono il
matematico e filosofo Olivier Rey che racconta la marcia infernale del
progresso in “Dismisura”; Fabrice Hadjadj, ebreo tunisino convertito al
cattolicesimo, autore di “Mistica della carne” e “Risurrezione”. Ma sfonda il muro
dell’attenzione globale Michel Houellebecq, che ora spopola con “Serotonina”,
ma che fu maestro di denuncia della civiltà in pericolo con “Sottomissione”.
Poi ci sono i numerosi maestri di passaggio, i guru provvisori, legati a
un’opera, Michel Houellebecqesplosi nei social, meteore luminose e poi presto
opache. Se l’America resta il centro del mondo, i maestri hanno una prevalenza
europea, anzi francese.
E da noi cosa resta? Finito il tempo dei Pasolini e dei
Bobbio, dei Del Noce e Zolla, la filosofia sembra ormai isterilita e intenta a
proclamare il suo suicidio. Nella filosofia svetta il pensiero degli eterni di
Emanuele Severino. O tra i maestri che aprono le porte del sacro al tempo
profano, torreggia Roberto Calasso. Sono maestri riluttanti, che non cercano
discepoli, che si annodano al filo impersonale della Tradizione o del suo
surrogato, l’Editoria raffinata, o che vivono la siderale solitudine
dell’Essere che pensa il Destino. In un’epoca egocentrica e autoreferenziale, i
maestri sembrano ormai vintage, antiquariato, se non archeologia. Mancano i
maestri perché mancano i discepoli. Eppure, proprio il caos globale, l’assenza
di dei, la solitudine e lo spaesamento, la vita insensata, richiedono oggi più
di ieri pensatori-guida, modelli di riferimento, figure autorevoli, supplenti
del sacro e del pensiero che aiutino a trovare una via, una casa, una visione
del mondo e della vita. Maestri che non detengono la verità ma che suscitano
almeno il desiderio di cercarla…
(Scritto e pubblicato sul sito: libreidee.org)
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