Solo nella relazione con l’altro possiamo conoscere al meglio noi stessi
La relazione con l’altro è lo strumento di elezione per
imparare a conoscere se stessi. Non c’è introspezione che possa
reggere il confronto con quanto esprimiamo di noi, relazionandoci agli altri,
se solo possediamo l’allenata capacità di osservarci attentamente e un po’ di
onestà nel riconoscerci anche nelle dinamiche più scomode che, per primi,
contribuiamo a creare, perché relazionarsi, volenti o nolenti, richiede sempre
il nostro imprescindibile contributo.
Nell’osservare le relazioni, non
siamo giudici imparziali, tifiamo per noi il più delle volte, se possiamo
attribuire al prossimo la responsabilità di quello che non funziona e prenderci
il merito di quello che funziona, lo facciamo spudoratamente, alcuni vi
dedicano la propria esistenza.
La stessa introspezione nasce dal bisogno di mettere
sotto esame quello che gli altri ci suscitano. La psicoterapia è
avvantaggiata, ha dalla sua tutta la profondità dell’introspezione e tutta
l’autenticità della relazione con l’altro, in quanto il terapeuta per prendersi
cura non deve nascondere, ma portare alla luce. L’altro darà sempre la sua
interpretazione ai nostri atteggiamenti e ai nostri comportamenti e talvolta
coglie il segno, ma questo è inutile se non si attiva anche qualcosa in
noi, anzi se ci sentiamo in difetto, potremmo reagire malamente.
L’autenticità premia nelle relazioni, ma molti la rifuggono
perché essere autentici implica ammettere cose scomode,
esiste la possibilità concreta di ferire ed allora è meglio non far sapere,
omettere, mentire, fuggire, fare finta di nulla, ma se l’altro se ne accorge la
ferita che causeremo sarà superiore e ci aggiungeremo la sensazione di essere
stati traditi o non considerati all’altezza ed è allora che le relazioni si
guastano e faticano a tornare al loro precedente equilibrio, possono terminare. Per
non fare o farci del male, corriamo il rischio di farne ancora di più, solo
perché c’è una possibilità che l’altro non se ne accorga o non affronti la
cosa, anche qualora se ne accorgesse. Essere autentici è la
più alta forma di assunzione di responsabilità, non esiste il male nell’essere
autentici, talvolta il dolore, ma mai l’errore. Dove non c’è autenticità regna
la deresponsabilizzazione, il non farsi carico di quanto sentiamo,
pensiamo e facciamo.
Di fronte a colui che si assume la responsabilità delle
proprie scelte, delle proprie azioni ed è in grado di valutarne le conseguenze
ogni attacco, ogni polemica, ogni contrasto diventa sterile ed
evidenzia solo i limiti di chi li mette in atto, per lo più uno
spettacolo impietoso, quanto diffuso purtroppo.
Conosciamo tutto delle relazioni, tranne forse le reali
intenzioni che vi si celano, sentiamo dentro dei bisogni che tramutiamo in
azioni ancora prima che si manifestino come pensieri consapevoli e
lucidi, ritrovandoci talvolta alla mercè di emozioni scollegate dal nostro
io più vero e per questo non riconoscibili.
Gli effetti delle nostre azioni si
misurano dai rapporti con gli altri, non che questi debbano essere assunti come
parametri assoluti, ma qualcosa ci dicono sempre su di noi, lo scambio è
continuo, mai intermittente, anche il silenzio e l’assenza hanno significati
nascosti solo a chi li scambia per indifferenza. L’indifferenza, nelle
relazioni, è solo un metodo, una strategia, non uno stato mentale o
emotivo reale, è una scelta razionale quando ormai si riesce a
gestire le emozioni o, al contrario, si ha bisogno di incatenarle perché
non facciano male.
Viviamo nell’illusione di non farci o non
fare male, non c’è dose di realtà che possa far tramontare il bisogno di
essere nel giusto, giusto e sbagliato ci fanno sentire al sicuro, semplificano
una realtà che non siamo in grado di comprendere nel pieno della sua
complessità.
(Scritto da Mario De Maglie e pubblicato sul sito: ilfattoquotidiano.it)
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