Europa di popoli e ambiente o Europa di profitti?
Sembra che la lotta in Europa sia per
alcuni solo una battaglia di profitti. E l’assurdità di questa
politica è dimostrata dagli slogan come: “Prima gli italiani!” o simili.
Laddove, se ogni popolo dicesse: “Prima i nostri!”, sarebbe una guerra costante
di tutti contro tutti.
Tra l’altro non si capisce perché noi dobbiamo venire prima
di questi e quelli, se la razza umana è una, a prescindere da colori di pelle,
confini, religioni, usi e costumi. Concetti questi sanciti ormai da tempo da
Costituzioni e diritti umani universali ma che fanno fatica ad entrare nella
testa di gente che è ancora ferma alla clava come mezzo principale di
espressione. Come se poi noi non venissimo già prima di molti altri dato che
viviamo in una società dove l’opulenza e lo spreco sono vergognosi se
paragonati alla gran parte dell’umanità che si dibatte in condizioni difficili
o disperate.
Di certo non sono i profitti o la supremazia sugli altri che
devono essere gli argomenti da portare avanti in Europa, poichè senza ambiente
cioè senza casa, senza biodiversità, non ci sarà né un Europa né un mondo
abitato da persone ma una landa desolata in preda alla devastazione. I dati
sono sempre più drammatici e la politica europea o nazionale perde tempo a
parlare di tematiche del tutto secondarie di fronte alla catastrofe imminente.
Ma come si può agire per cambiare la difficile situazione?
Gli europei hanno conoscenze, capacità, risorse eccezionali per risolvere
qualsiasi problema, anche perché li conoscono da vicino essendo loro stessi tra
i maggiori responsabili che li hanno creati. Alcuni sedicenti esperti o analisti,
cercano di sfuggire alle responsabilità dicendo che la colpa della crisi
climatica è dei paesi cosiddetti emergenti, quindi sono loro che devono
agire.
Ma chi dà il cattivo esempio ai paesi emergenti? Da
dove arriva un modello di vita e di lavoro dove tutta l’esistenza è passata ad
acquistare merci sotto l’influenza nefasta della pubblicità martellante? Arriva
da noi, che da sempre vendiamo, esportiamo, imponiamo il nostro modello come il
migliore, il più desiderabile, basta appunto vedere gli spot demenziali di
qualsiasi prodotto che mostrano una realtà che più falsa non si può. Non
è possibile quindi presentare il proprio modello come perfetto e poi se viene
seguito, dire che la colpa è di chi lo segue ma avendo troppi abitanti nel
proprio paese, gli effetti di quel modello si rivelano oltremodo catastrofici.
Tra l’altro una ennesima dimostrazione inequivocabile che il nostro
modello non funziona è che non è replicabile a tutti, pena il collasso
a cui stiamo assistendo.
Qual è quindi il ruolo ipotetico dell’Europa? Non
deve essere certo l’Europa dei banchieri, delle imprese senza scrupoli, dei
razzisti che vogliono creare muri e barriere ovunque ma solo per le
persone, perché i capitali, che costringono in gran parte le persone ad
emigrare, quelli possono tranquillamente transitare con destinazioni
preferibili il Lussemburgo e Svizzera. l’Europa deve riunire i popoli nel
costruire modelli di vita e lavoro completamente diversi dagli attuali e
dimostrare al mondo intero che si può vivere meglio proprio rifiutando il
modello suicida della crescita economica, in cui a crescere sono solo i
rifiuti, l’inquinamento, i profitti delle multinazionali e grandi corporazioni,
che sono i maggiori responsabili delle emissioni globali.
Che sia possibile vivere e lavorare in maniera diversa è
ormai dimostrato ampiamente da innumerevoli progetti e iniziative che
non occupano le prime pagine dei giornali o le aperture delle news in
televisione. Progetti che danno soluzioni e benefici da ogni punto di vista,
occupazionale, ambientale e di vera prosperità. Esempi come il Centre for Alternative
Technology in Galles, l’Energie
und Umweltzentrum, Sieben linden o Artefact in Germania, il Folkecenter in
Danimarca, il Parco
Energia Rinnovabile in Italia e molti altri ancora, sono esempi
ripetibili ovunque con le dovute differenze e attenzioni locali e dimostrano
che se si vuole, si può cambiare qui ed ora.
Alle prossime elezioni europee si può votare o meno, non cambia
di granché la cosa se poi non si agisce per costruire una società diversa dalle
fondamenta. Anche perché i cambiamenti politici ed economici necessari
avrebbero bisogno di tempi immediati che cozzano immancabilmente contro i tempi
di reazione e attuazione biblici che hanno sia la politica che l’imprenditoria,
troppo impegnate a fare calcoli di convenienza economica e di potere, per fare
qualcosa di positivo in breve tempo come è assolutamente urgente.
Di sicuro
mettere al centro l’ambiente cioè la vita, senza se e senza ma e da lì fare
discendere ogni altra decisione, è l’atteggiamento migliore e più sensato di
una formazione politica, e più si rafforza questa posizione in ogni ambito e
meglio è.
(Scritto e pubblicato sul sito: ilcambiamento.it)
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